L’ISLANDA IN 23 RACCONTI DI DONNE

Islanda. Iceland. La terra di ghiaccio. Il suo nome non fu scelto a caso dagli avventurieri norvegesi, i primi a colonizzare l’isola. Il territorio islandese è arricchito da cascate, geysers, vulcani, spiagge di lava nera e distese di roccia vulcanica. L’isola è poco più grande del Portogallo e i ghiacciai ne ricoprono circa l’11%. I due terzi della popolazione risiedono nella capitale e circondario di Reykjavik. L’età media degli abitanti è di 35,6 anni, contro i 45,2 dell’Italia (ISTAT).

L’Islanda è al primo posto (per il nono anno consecutivo), nella classifica del World Economic Forum del punteggio sulla parità di genere

Le donne islandesi partoriscono in media a 31 anni, con circa 2 figli a testa. In Italia, dove l’età del parto è generalmente intorno ai 32 anni, i figli non arrivano all’1,5.

Anno del suffragio universale: 1920.

Vigdís Finnbogadóttir è stata la prima presidente donna, nonché la prima donna islandese single ad adottare una figlia

Nel 2012 è stata eletta primo ministro Jóhanna Sigurðardóttir, prima persona al mondo a capo del governo dichiaratamente lesbica.

Nel 2012 è stata eletta primo ministro Esiste dal 2000 una legge chiamata “Exclusive paternity leave”: sancisce che padre e madre abbiano uguale diritto a prendersi cura del loro figlio con a disposizione 90 giorni a testa di congedo post-parto.

Il racconto inizia con Anna, che, appena sbarcata dal traghetto, fa l’autostop sotto la pioggia battente. Ha 23 anni, è austriaca ma vive a Reykjavik da circa tre anni. É venuta in Islanda per fare la ragazza alla pari in una famiglia con bambini molto piccoli. Seguendo la loro crescita e frequentando dei corsi, ha imparato la lingua. Adesso lavora in un kindergarden nella capitale. Si trova a suo agio con il clima Islandese; non le piace sentirsi soffocata dal caldo delle città. É lei a darmi la prima infarinata generale del paese. Lavorando in una scuola materna ha quotidianamente a che fare con bambini e genitori e mi spiega che la natalità è alta: spesso donne sotto ai 30 anni hanno più di due figli e la scuola materna viene pagata solo per 1/3 dalle famiglie. Reykjavik è per lei una città molto gradevole anche perchè compatta e pur essendo la capitale, non ha quel trambusto che in genere troviamo nei centri urbani importanti. Ci lasciamo con la promessa di rivederci quando arriveremo a Reykjavik. 

A sud dell’Islanda, a una mezz’ora di traghetto tra le acque blu dell’oceano, sorgono le Isole Westman, sferzate dal vento, accarezzate dal sole e con delle case che paiono uscite da un dipinto di Hopper. Seduta a un tavolino dell’imbarcazione, con lo sguardo rivolto alla terra in lontananza, c’è Hafrún Dóra. Ha 19 anni, ha appena terminato gli studi e ora lavora come commessa in una stazione di benzina. Probabilmente dovrà trasferirsi sull’isola principale perché vuole andare al college, anche se mi confida che è difficile riuscire a vivere da soli: gli affitti sono tremendamente alti e la scuola è costosa. 

Si sente molto tranquilla sulle Westman; le piace soprattutto perché è un posto sicuro. Le chiedo com’è vivere un inverno così buio, ma lei serena mi dice che non lo trova per niente negativo. 

Mi racconta che può capitare che in Islanda in alcuni lavori, nonostante tutto, le donne siano pagate di meno, anche se lei non ha mai avuto esperienze di questo tipo, ma confida nel forte gruppo femminista islandese. L’equilibrio perfetto della parità di genere evidentemente non è ancora raggiunto. In compenso, gli adolescenti sono già dei gran lavoratori: il lavoro più gettonato è nel mercato del pesce, che costituisce la fonte di maggior guadagno del paese, soprattutto per quanto riguarda l’esportazione.

Le Isole Westman non sono lontane dalla capitale: camminando per le strade di Reykjavik, sotto un palazzo colorato e a un bar con i tavolini fuori, incontro Hófí. Ha 26 anni e frequenta l’università. Ha un bambino di tre anni e mi racconta che in Islanda è possibile continuare a studiare se hai figli perché lo Stato ti supporta, anche con corsi universitari dai costi agevolati. Mi dice che però la tendenza nella capitale è quella, per i neo-genitori, di tornare a vivere nella casa dei genitori perché i costi degli affitti, se si vuole rimanere a Reykjavik, sono molto alti e si rischia di finire in un loop: tutto quello che guadagni lo spendi per vivere e non riesci a “crescere”.

É con il naso all’insù, sbirciando tra le case e i cantieri per la posa delle serpentine per riscaldare le strade che mi imbatto nella signora Anna: i suoi occhi verde acqua sono perfettamente in tinta con il colore della casa alle sue spalle. Ha lavorato per 50 anni in una libreria del centro. Con quattro figli, 13 bisnipoti e 4 bis bis nipoti, non si può dire che non abbia compagnia. La signora, dopo la nostra chiacchierata, riprende il suo cammino verso l’Harpa, centro conferenze ma soprattutto sala concerti. 

Dall’altro lato della strada, una ragazza sgambetta a passo svelto portando sulle spalle un violoncello quasi più grande di lei: si chiama Geirthrudur e il suo concerto all’Harpa inizia a breve.

Grimsdottir ha appena lasciato sua figlia, concertista, davanti all’ingresso  dell’Harpa. Anche gli altri suoi due figli lavorano in ambito musicale. Le ho chiesto se ha sentito pressione da parte della società nell’avere figli, e lei mi ha rassicurata spiegandomi che è una cosa molto naturale. Lo Stato l’ha aiutata mettendole a disposizione un periodo di maternità che oggi è possibile condividere anche con il  partner. Vede per questo motivo i padri odierni molto più attivi e molto più legati ai figli (in senso positivo). Per lei l’Islanda è un paese liberale. Questa è la mia prima conferma degli effetti della Exclusive paternity leave, la legge promulgata nel 2000 per favorire l’assistenza ai neonati da parte di entrambi i genitori.

All’interno dell’edificio dell’Harpa, le strutture in vetro simili a un alveare riflettono la luce del sole sui pavimenti, creando geometrie sempre nuove da ogni angolazione.

Sembra di nuotare, immersi placidamente in una vasca d’acqua colma di luce estiva. Il tepore si concentra gradevolmente tra queste pareti di cristallo.

Qui incontro Kat, una fotografa polacca che vive in Islanda da quasi tre anni. Vorrebbe rimanerne altri 5 per ottenere la cittadinanza. Si trova benissimo nel Paese e quest’anno vuole allestire uno studio fotografico. Finora ha sempre sfruttato la luce naturale: 

“in estate la luce non finisce mai, ma d’inverno, anche se ce n’è molta meno, la luce del tramonto dura per ore”.

Si fa sera e il sole illumina in controluce le gocce di pioggia estiva. Passeggiamo tranquilli mescolandoci agli islandesi che, più lontani dalle vie turistiche, portano a spasso il cane o tornano verso casa con le borse della spesa. Il tramonto sembra non finire mai.

Abbiamo un invito a cena: Anna, la ragazza austriaca alla quale abbiamo dato un passaggio in macchina, ci apre la porta di casa. Per l’occasione si è fatta dare da una sua collega la ricetta originale della zuppa di pesce. Anna condivide la casa con altri inquilini, tutti stranieri. Le scarpe si lasciano rigorosamente all’ingresso. La casa ha soffiti alti, muri colorati e vecchi attaccapanni. Una scala bianca porta al piano superiore, nella “zona notte”. Si nota il passaggio di diverse persone. Chi ha lasciato un disegno appeso, chi un volantino di una mostra, chi un post-it scherzoso. Si percepisce una casa amata da chi ci abita e posso immaginare la nostalgia di chi l’ha lasciata. La luce calda del tramonto filtra dalla finestra della cucina, dove regna sovrana una vecchia stufa sulla quale borbotta una pentola. Il profumo si spande promettente nelle stanze. A tavola con noi si siedono anche Marie e Naomi.   

Marie è francese e a Reykjavik studia letteratura e storia. É rimasta molto colpita da come in Islanda si possa lasciare la bicicletta slegata o non chiudere a chiave la porta. Trova incredibile il fatto che si lascino fuori dai supermercati i passeggini con i neonati, per non far sentire loro lo sbalzo termico e quindi esporli a malattie.

Naomi viene dal Botswana e ha frequentato il college negli Stati Uniti. Il suo inglese con accento americano è perfetto. In Islanda Naomi sta frequentando un master in design e vorrebbe arrivare a poter dire che ha progettato il 90% di un edificio, dalla struttura all’arredamento interno, “and everything between”. Non vuole specializzarsi in una cosa sola. Con l’arrivo del buio ha dovuto ricorrere a vitamine per minimizzare l’effetto dei giorni corti, ai quali non è abituata. Per ora non riceve alcun tipo di aiuto dallo Stato, ma quando saranno trascorsi sei mesi di soggiorno, potrà entrare a far parte del sistema sanitario nazionale. Le ragazze, riunite a tavola, concordano sul fatto che Reykjavik sia una capitale ma con il sapore del paese. Tutti (parenti compresi) erano convinti che non ci fosse niente, invece è una città viva, dove è bello anche incontrare le stesse persone e parlare con i locali.

Lasciamo Reykjavik e proseguiamo il nostro percorso verso nord. In un campeggio in riva all’oceano incontro Jacqueline, una ragazza tedesca che si occupa di badare ai cavalli e fare da guida alle persone nelle passeggiate. La cosa che le dà più soddisfazione è abbinare la persona al cavallo a seconda della sua predisposizione verso l’animale e viceversa. Rispetto ai “normali” cavalli, quelli Islandesi non hanno tre tipi di camminata ma cinque. Qui il cavallo è come una specie protetta: niente importazioni o viaggi oltreoceano. Jacqueline mi fa notare che venire a sapere queste cose è il bello del mio lavoro. In Germania studia architettura.

Riprendiamo la nostra rotta verso i fiordi del nord est. Il paesaggio si fa incredibilmente dolce: le terre si sbriciolano nell’oceano. Ogni tanto si intravede qualche fattoria o qualche chiesa, illuminata dalla luce calda del pomeriggio. I prati sono accarezzati dal vento, come in una danza.

In una piccola valle soleggiata, di fianco a una chiesetta, una ragazza su un montacarichi sta ridipingendo la sua casa. Il padre, con una gamba infortunata, la guarda ammirato e divertito, mentre Hreini, un grande cane nero, gioca tra l’erba. Eydís è nata a Reykjavik, ma da sempre passa le sue estati in questa casa. Ha tre bambini e cerca di portare il suo cane a correre tra le montagne almeno tre volte alla settimana.

Nel paesino di Isafjordur, adagiato sulle pacate acque del nord, il sole si allunga pian piano sulle case colorate, creando ombre lunghe. Ogni casa è da scoprire: sulle mensole delle finestre vi sono disposti gli oggetti più curiosi: una macchina da scrivere, delle teste finte, giochi di bambini, candele, quadri e piante. Qui i colori vibrano, accostati con superba eleganza dal caso.

Nello spiraglio di luce che filtra tra una casa e l’altra, c’è una ragazza con un lungo vestito giallo a righe che sta spazzando per terra. Intorno, la calma più assoluta e nell’aria solo il suono della ramazza. La temperatura è gradevole e i raggi del sole scaldano la pelle. 

Lisbet mi dice che la trovo in un contesto un po’ strano, così con la ramazza in mano. É infatti una pittrice e un’attivista per i diritti delle donne (“cose normali, tipo non essere stuprata o essere pagata quanto gli uomini”). Mi dice che in Islanda le donne in media sono pagate il 23% meno degli uomini. Mi mostra orgogliosa e sorridente un tatuaggio con cinque fili colorati intrecciati tra di loro e tenuti insieme da un’àncora: ognuno di quei cinque fili rappresenta uno dei suoi figli, e l’àncora il marito. Ha appena restaurato e aperto un locale bar, nel quale lavora anche un cameriere italiano; da quel momento si divertono a pronunciare sempre la parola “allora!” che, mi confida, per lei vuol dire tutto e niente.

Dietro l’angolo Sædís sta facendo una pausa seduta ai tavolini del suo ristorante, illuminata dall’ultimo raggio di sole che sta per sparire dietro al fiordo. Sædís ama molto Isafjordur perché è un posto quieto e sicuro: “i bambini di cinque o sei anni possono giocare per strada senza che tu debba preoccuparti, non c’è criminalità”. Le piace che le persone nate qui, anche se prese dal lavoro in altre parti del paese, tornino a casa per le vacanze di Natale o per trascorrervi l’estate.

A Akureyri, seduta vicino a una vetrata in una libreria, una ragazza dal viso dolce mi racconta il suo mestiere: è una ranger nel vicino parco naturale. Non ha figli ma ha molti fratelli e sorelle. Per questo pensa che in Islanda, la tendenza ad avere tanti figli, non sia poi così corretta: secondo lei non si riesce poi a stare dietro a tutte le loro necessità. Mi spiega che, avendo comprato casa diversi anni fa, la sua spesa quotidiana più alta è costituita dal cibo. Molti rinunciano a comprare cibo di qualità o frutta e verdura, che sono molto care, in favore di cibo più economico e di minor qualità, andando così a impoverire il loro metabolismo.

Addam ha già una bambina e tra circa un mese avrà due gemelle. Mi racconta che effettivamente, ma solo perché le bambine sono due, avrà diritto a un anno di maternità (se fosse un figlio solo il periodo si limita a 9 mesi) che potrà condividere con il suo compagno.

Lungo il percorso per il lago Myvatn, sul far della sera, ci imbattiamo in delle strutture di aliena bellezza. Lunghe vetrate umide, piene di luce dorata, sembrano dormire, inquietanti e affascinanti allo stesso tempo, sospese nell’aria grigia della serata. Al loro interno, crescono pomodori e peperoni da manuale.

Anetta si incammina verso casa, lungo la strada che costeggia le serre. É cecoslovacca e lavora qui da circa un anno, cogliendo i frutti e prendendosi cura delle piante. Si trova bene, la paga è buona e mi spiega che vive con altri suoi colleghi in una casa vicino agli impianti. Per gli islandesi questo è un lavoro pagato troppo poco. É venuta in Islanda perchè aveva bisogno di un cambiamento nella sua vita e appena è arrivata si è detta “questa è la mia seconda casa”.  Anche d’inverno, quando la neve è alta, rimane sicura della sua scelta.

La moglie del proprietario delle serre mi racconta che l’azienda è a conduzione familiare (attualmente alla quarta generazione). Le serre sono state create nel 1933, ma solo dal 2005 esiste questo sistema di illuminazione basato sulla luce e non sul calore. Tra estate e inverno non c’è molta differenza nella produzione. Le serre funzionano interamente con energia rinnovabile: geotermico per il calore e acqua dalle montagne per innaffiare le piante. I semi provengono dall’Olanda.

 Laufhalla lavora in un negozietto di vestiti fatti a mano, principalmente in lana. I manufatti sono creati dai locali che vivono nei dintorni. Le chiedo se anche lei lavora a maglia e mi mostra fiera un bellissimo golf a righe colorate ancora in lavorazione. 

La desolata costa del nord, immersa nella nebbia, ci vede vagare solitari, se non fosse per qualche macchina che va nella direzione opposta. Sulle spiagge sassose di ammassano grossi tronchi levigati dall’acqua e dal sale e portati da chissà dove, pare dalla Siberia, dalla corrente oceanica. Giungiamo al paese di Raufarhofn, un villaggio di poche case intorno a un porto. Qualche cavallo bruca annoiato in un prato che sembra confinare con l’oceano. 

Una signora sta foraggiando l’erba del giardino. Mi racconta che abita ad Akureyri ma è nata a Raufarhofn e spesso viene nella sua casa natia. Si sente molto fiera di essere Isandese ed è grata per avere acqua in abbondanza, aria pulita e contatto con la natura. Le piace che le cose si facciano senza fretta: già Reykjavik è per lei troppo caotica. Mi dice che quest’estate a Raufarhofn hanno avuto pochissimi giorni di sole e che c’è spesso, come oggi, una grande placida nebbia. Parlare con lei mi infonde molta tranquillità d’animo.

Proseguiamo verso est perchè il nostro traghetto partirà tra qualche giorno. Cerchiamo riparo dal vento in un campeggio vicino alle cascate. Siamo ancora emozionati dalla visione superba del ghiacciaio Snaefell. Qui percepisci letteralmente la forza della natura: vasta, potente, inarrivabile. Sigridur e suo marito, che gestiscono il campeggio, ci accolgono con una zuppiera del vecchio servizio di famiglia colma di gulash, un cestino con crostini di pane e burro e un pane al finocchietto. Un’ insalata con formaggio al rosmarino e una salsa di yogurt islandese, più due birre di produzione locale accompagnano la nostra cena. Il camino scoppietta allegro alle nostre spalle, abbiamo lasciato le scarpe all’ingresso e girare in calze in un ristorante ci fa sentire un po’ a casa. Sigridur mi spiega che solo dalla parte di suo nonno ha più o meno 120 parenti. La tendenza ad avere molti figli secondo lei è in calo (lei è in tendenza, con un solo bimbo).

Dirigendoci nella direzione dell’imbarco del traghetto, ci fermiamo a Egilsstaðir, dove troviamo supermercati e rifornimento di benzina per il nostro pulmino. Fuori dal Bonus, la catena di supermercati più nota, incontro Helga, una sorridente signora che ha appena terminato i suoi acquisti. Le chiedo del buio invernale, e mi racconta che, essendo nata in Islanda, non conosce che il buio come naturale condizione. Si sente sicura nel suo paese, tanto che, talvolta, non chiude a chiave la porta di casa. Ritiene la situazione degli affitti eccessivamente alti solo temporanea, perchè pensa che il mercato immobiliare presto si riprenderà. “Oltretutto, ci sono molte nuove case in costruzione”. Non si sente supportata dallo Stato e pensa che la tendenza ad avere molti figli sia diminuita. Lei ha due bambini, ma tre fratelli e sorelle, e suo marito ne ha ben sette. Mi rassicura che chiunque abbia voglia di lavorare, in Islanda può farlo. Il tasso di disoccupazione è molto basso. “Nell’Est del paese quest’estate il tasso era solo all’1,5%.

Jonina sta uscendo con dei bambini da una casetta rossa.

Che lavoro fa? “Faccio la nonna”: due figlie e otto nipoti.

Alla nostra penultima sosta notturna, al riparo dal vento che sta facendo chiudere alcune strade, Halla ci spiega che il suo campeggio e la struttura con le camere sono nati come una fattoria, quasi 100 anni fa. Mi racconta che quando la cittadina più vicina era un importante porto per le aringhe, c’erano giorni nei quali, con la scuola, veniva coinvolta nella loro salatura. Già a dieci anni, suo padre le faceva guidare il trattore per tagliare l’erba. É molto contenta che i giovani imparino fin da subito com’è il lavoro e da dove provengono i soldi, ed è anche giusto che capiscano fin da subito che lavorare fa parte della vita di tutti i giorni. Qui i ragazzi iniziano già da giovanissimi a darsi da fare nei mesi estivi, sia per mantenere in ordine la città, ad esempio con la cura delle aiuole, sia per svolgere altre mansioni all’interno dei supermercati. Mi assicura che la paga è sempre garantita. Halla ha tre figli ed è già nonna. Ci svela che il latte di pecora, animale che pascola su tutto il territorio islandese, viene usato unicamente per nutrire gli agnelli, che serviranno poi per la carne e per la pelle. Non è usanza fare il formaggio. 

“Perchè si fanno tanti figli? Perchè abbiamo spazio.” 

©2019 – 2020 Camilla Albertini

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